Il (nome) Leopardo a Pisa nel medioevo

Qualche curiosità sul nome di battesimo Leopardo, che oggi non si usa più imporre ai bambini, in quanto considerato troppo stravagante. Nel medioevo invece fu nome di ‘moda’ a Pisa e nel pisano con la variante di Lupardo o dell’abbreviato Pardo.
Meno di frequente si usò Luparello come suo diminutivo, anche perché in generale lo fu del nome Lupo.
Però furono entrambi appellativi di animali "nobili" con un significato che rimandava ad alcune virtù dell’animo: al coraggio, alla velocità, alla sagacia, alla costanza. E doveva essere anche di buon augurio.
Circa la causa dell’uso, non si può certo dire che a Pisa si battezzassero Leopardo i neonati perché un omonimo animale era stato condotto in gabbia sulle rive dell’Arno – o almeno, se avvenne, fu fatto occasionale e comunque, a quel che ne so, non documentato).
Quasi certamente l’uso invece ebbe origine da delle storie o da un retaggio culturale, appartenente al mondo letterario prediletto all'epoca, quello dei cavalieri e delle loro imprese e quindi dalla raffigurazione di qualche nobile insegna e stemma. E/o potè essere collegato alle vicende dei mercanti pisani in Africa o a tradizioni particolari dell’Antichità e comunque guerriere. D’altronde nei reperti dei musei si trovano i leopardi effigiati già secoli avanti Cristo dagli Egizi, e pure dai popoli dell’Asia centrale e della Cina.

Andando a vedere gli esempi nello specifico pisano, un Leopardo rimasto nei documenti, si trova nel 1277, quando Orso (sic!) del fu Bonaccorso di Pancaldo nel testamento volle far corrispondere 500 lire a un “milite" (cavaliere) “in sussidium Terre Sancte de Ultramare” (per andare in Terrasanta oltremare) e fece rogare l’atto dal notaio Leopardo di Cestone da San Savino. Non si sapeva però se il milite sarebbe partito e tornato sano e salvo e pertanto il denaro fu dato in temporanea custodia a una terza persona.
Si trova qualche decennio dopo anche Leopardo del fu Frenetto da Santo Pietro di Valdera che esercitò come l’altro l’arte del notariato e fu al seguito dell'imperatore Enrico VII di Lussemburgo.
Il 13 dicembre 1310 mise il suo elegante segno sull'annullamento da parte di Enrico delle rappresaglie del comune di Milano contro il comune di Bergamo e viceversa, grazie al quale i rispettivi cittadini avrebbero potuto andare, venire e commerciare liberamente da e per entrambi i luoghi. Nel 1311 tuttavia le città lombarde si ribellarono a Enrico. Ma, mentre a Milano vi furono dei tumulti, a Bergamo si preferì l’opposizione silente e non si mandarono le truppe al servizio dell'imperatore.
Leopardo di Frenetto il 22 novembre 1311 rogò anche l'elezione di Enrico VII a signore di Genova. L'atto con la sua firma è conservato in copia (1331) nell’Archivio di Stato di Torino.
Suo fratello Ubaldo o Balduccio fu anch'egli notaio, documentato a Pisa e a San Cristoforo di Chinzica nel 1306 e nel 1342.
Per ricordare comunque quanto il nome fosse diffuso all’epoca, si può citare anche il notaio Leopardo di Orlando da Morrona che il 26 dicembre 1312 rogò la donazione del comune di Pisa di 200.000 fiorini d'oro allo stesso Enrico VII per gli stipendi dei suoi uomini e altri bisogni. La somma era da pagarsi in tre rate iniziali di complessivi 120.000 fiorini, il resto a discrezione del destinatario.
I Leopardo notai, va detto, appaiono frequenti perché hanno lasciato memoria nei rogiti, al contrario di altri cittadini meno di penna e di ricordo scritto. Dovettero quindi essere complessivamente in buon numero, se si considera anche Lupardo, variante del nome. Si chiamava così nel 1263 il prete cappellano della chiesa di Santa Maria di Tunisi, ricordato in quanto debitore di quattro bisanti per un libro che prete Opizio, priore della chiesa di San Silvestro della Spina di Pisa, gli aveva dato come dono da fare per conto suo a un mercante del luogo.
Nel 1294 invece Lupardo di Iacobo da Camaiore fu un giudice che assieme a altri copiò una bolla di privilegi del 1187 diretta a Crescentiana badessa del monastero benedettino di San Martino a Gello.
Infine Lupardo da Vecchiano, altro prete, nel 1418 venne rimborsato da Benedetto di Gardone da Calci, abate cistercense di San Michele della Verruca e di Sant'Ermete in Orticaia, della somma di 44 fiorini, ovvero della parte dovuta dal monastero su quanto era stato preso a prestito nel 1416 per soddisfare alle taglie di Firenze imposte al clero. Fu detto “venerabile” – qualifica riservata ai preti molto anziani – negli anni ‘70 del quattrocento quando fu nominato rettore dell'altare di San Michele nella chiesa di S. Martino di Pisa.

Anche le donne portarono il nome di Leoparda. Fu così chiamata al fonte la moglie e poi la vedova di Michele Maschione morto prigioniero a Genova dopo la sconfitta della Meloria (1284). Ma in famiglia e i notai che interpellò per vari atti preferirono comunque chiamarla Luparella o Parella.

Paola Ircani Menichini, 16 marzo 2023.
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